“Il faut être absolument moderne.”
“Bisogna essere assolutamente moderni”
A. Rimbaud
Il piano della prospettiva si sposta in superficie, si avvicina visibilmente, lento ma inesorabile come uno zoom che tende all’astrazione, siamo ora davanti ai quadri, le figure iniziano a galleggiare sullo sfondo e lentamente perdono consistenza, retinicamente si fondono con lo schema che le ha costruite. Con costanza le figure stesse, armate di piccone, distruggono quella malsana idea della pittura di essere finestra su un altro mondo. Ma la superficie non si ferma al confine con la finestra, ora ci viene sempre più addosso, inizia il Novecento, ci investe, ci sovrasta, alla fine ci ingloba e da pittura alla finestra si tramuta in ambiente. Azione di luce e di pensiero ci avvolge completamente e ci lascia inebetiti all’interno di questo mondo disegnato, e a tratti, semplicemente pensato e ricalcolato. Ecco, infine, la tentazione dell’opera di sparire del tutto, dissolversi, disintegrarsi, occultarsi nel mondo e dal piano della realtà come luce in una mensola di Morandi. Appare l’istante. Quel momento del guardare in cui le mensole non ci sono nemmeno più, tutto si dissolve ma rimane qualcosa come immagine persistente, impressa nella retina e nel pensiero, ricordo di aver vissuto. Replica iconica dell’immagine che si protrae a dismisura. Si scopre che l’immagine è sopravvissuta alla sua stessa dissoluzione. Eccola, di nuovo salda in un materiale inconsistenze, paradossalmente inesistente nel reale e proiettata in un mondo parallelo, senza profondità, coi contorni, sviluppando una nuova idea di dimensioni. L’immagine però adesso sfugge, copia, incolla, moltiplica, bisogna tenerla salda e ferma, recuperare un’idea di appartenenza, proprietà. È importante che le cose siano stabili, è importante che le stelle ci siano. Tuttavia questo crediamo di qualcosa che non è, di stelle visibili che non ci sono già più da anni, ed è questa la vita che viviamo, luce che è la presenza ingannevole della distanza. Il rapporto forte è con qualcosa che con Sartre definisco più imagerie, che non image o imaginaire. La differenza è nella sua impalpabilità. Si tratta di un’immagine che si genera parzialmente indistinta dall’indistinto del pensiero. Qualcosa che può apparire come sognato o ricordato, al limite sedimentato dal ricordo stesso, forse un ricordo di nessuna epoca. Ci sono stati, eccome, nuovi tentativi di opera e nuovi sensi di appartenenza. Già la Net Art ne aveva prospettato il lungimirante futuro distendendosi in un’idea collettiva di impalpabilità che si rigenera riprogrammandola. È una nuova epoca che si affaccia e che cammina pari passo con la tentazione di replicarsi, il desiderio materico e vivo di non perdersi e continuare a toccarsi, la quotidianità impalpabile e impersonale e i complessi di colpa del vecchio occidente. È una nuova epoca e sono nuovi luoghi di astrazione del pensiero, nuove risorse del linguaggio visivo, nuovi pensieri di accumulazione e conservazione. È una nuova epoca e bisogna a tutti i costi essere presenti.