Un processo interno, nel lavoro artistico di Cametti, si sviluppa senza l’impiego di nessun mezzo grafico o supporto esteriore per attualizzare, per esplicare il movimento aniconico di questa genesi creativa. Al termine del suo ciclo vitale, produce delle opere che mostrano come uno scheletro la proprietà assoluta di una ricerca che esplora pratiche e territori – fra l’unità dell’opera e la pluralità del contesto relazionale, fra la freddezza di un linguaggio impersonale e l’organicità di materiali saturi di storie e peculiarità.

Questa sagoma antropomorfa (ridotta ai minimi termini come un abbozzo geometrico e progettuale) ha una valenza essenziale trasposta sul piano metaforico. Le sue opere, come la complessa e funzionale impalcatura ossea, sono strutture che predispongono incontri, e per questo riescono ad essere sia oggetti fisici che concettuali. Come Tetris (2012), con cui presenta blocchi di marmo di Carrara tagliati e dipinti come i pezzi di questo gioco, trasformando paradossalmente la “nobile” pietra in qualcosa di astratto e ludico, celando e sfruttando il suo potere simbolico. Ma non solo. Ogni cosa, attraverso un diverso linguaggio, fa riferimento ad un lavoro, uno sforzo fisico e mentale di una semplicità abbagliante, senza l’ombra di sfumature o sbavature. Il corpo di questa esperienza si regge tutto sulla fusione di tale binomio, sulla saldatura della sua continuità. Quelli di Cametti sono gesti che valgono come pensieri, operazioni strutturanti alla stregua di una mano che leviga e scolpisce, ripara e connette.

Con 12 Candele (2014) e 6 Candele (2015) anche la bocca umana, stravolta la sua funzione distruttiva e assimilativa, assolve questo compito costruttivo. Rendendola la fucina di un artigiano, Cametti mangia un favo di miele e produce attraverso essa un numero preciso di questi oggetti – aiutandosi nella modellazione con le mani -, il cui quantitativo definisce il titolo delle opere. La cosa non stupisce. La centralità del lavoro e la concretezza dei suoi effetti è tangibile in tutta la sua ricerca. Come quando con Casa Cametti (2015-2021) e Bivacchi (2019) ripopola e rimette in sesto luoghi chiusi e spazi aperti, per rendere nuovamente possibile sia il transito che l’abitare. La montagna diventa la sua gigantesca scultura, opera spaziale e concettuale. Stratificato come il marmo e la pietra, il suo percorso artistico procede attraverso sperimentazioni e scoperte. Con TINA (2017) Cametti raccoglie l’eredità artistica di una cantante degli anni Cinquanta, e porta la sua voce nella cava in Norvegia dove è stato ricavato il marmo della sua lapide. La poesia della pietra incontra l’essenza eterea di una voce che non ha più corpo, attraverso un viaggio à rebours che restituisce apertura e libertà alla forma austera del sepolcro, negando la sua funzione di sigillo. Questo percorrere “i margini” di narrazioni chiuse o abbandonate lo riscontriamo anche in S.O.S. (2012), un lavoro sul confine, sulla problematizzazione di un elemento secondario apparentemente neutro. Spostando i sanpietrini del ponte che conduce all’ingresso del castello Colonna di Gennazzano, Cametti scrive con questo l’acronimo di soccorso in codice morse, muovendo quelli bianchi impiegati sul bordo della strada per indicarne il limite. Passaggio da banale segnaletica a codice cifrato, indicando un’emergenza senza nome. È proprio qui, sulla frontiera, che iniziano nuovi percorsi da sondare.

Bolide (2018) è un’opera che si muove ai margini. Installazione composta da oltre 150 tubi di luce, si relaziona allo spazio dismesso e mai completato di un edificio che l’artista ha rivendicato per una notte. Un’epifania luminosa data dall’accensione improvvisa e fugace di questi evoca l’enigmaticità e la solitudine di fenomeni spaziali. La sua scultura luminosa traccia segni nella notte, ma è troppo astratta per descrivere o narrare. Ma non per strutturare. Nel suo biancore smaterializzato questo neon sintetizza la ricerca di Cametti come scultore e l’altra faccia della sua formazione, come fotografo, lasciando emergere il carattere analitico e “oggettivo” di un lavoro artistico che ancora una volta si presenta come l’impalcatura di un’esperienza, catturando istanti di possibilità fugaci e fissandole con freddezza e decisione. Cantiere artistico in fieri, dove la solida concisione di un’idea lascia campo libero alla temporalità: quella del materiale, dell’artista, dello spettatore, sedimentazione di transiti e intersezioni.

Bivacco// Documentazione fotografica

Bolide // Documentazione fotografica

Bolide // Documentazione fotografica

Tina, 2017 // Disco in Vinile singolo 45 giri, Potessi riviver la vita / Nuvola per due // tiratura 8/8

Tetris, 2012 // marmo di Carrara vernice poliuretanica, 480 x 130 x 10 cm 55 pezzi