Blac Ilid – Andrea Kvas – Installation View – Courtesy Fondazione Smart

 

Qualche tempo fa si è chiusa a Fondazione smART la mostra BLAC ILID, prima personale romana di Andrea Kvas a cura di Davide Ferri, una mostra di quadri che potremmo definire oggetti pittorici, interventi che sfruttano gli elementi primari della pittura per manifestarsi e comunicare. Verrebbe da chiedersi cosa ci possa essere di insolito in un’esposizione di quadri, ma conoscendo il lavoro di Kvas ci si rende immediatamente conto dell’opportunità che questa mostra offre. Nessuno dei concetti legati alla pittura prepara lo spettatore alla visita, così come superflui diventano i tentativi di collocare questi lavori all’interno delle categorie tanto radicate nella critica d’arte.
Osservando le opere esposte si scopre poco alla volta l’inganno percettivo prodotto dalla canonica esposizione a parete. Con un’indole meticolosa e spensierata Andrea Kvas supera i limiti imposti dalla pittura grazie a un approccio personale che riesce a sfruttarne gli elementi caratteristici trasformandoli e dotandoli di nuovi significati e funzioni. L’ambiente caldo e familiare della Fondazione smART viene abitato da opere che creano un’armoniosa dissonanza all’interno dei diversi ambienti, quasi tutti i lavori sono stati prodotti nel 2020, ma sembrano appartenere a momenti lontani tra loro. Emerge, tuttavia, una mano consapevole che riesce a incanalare la potenza espressiva dei diversi materiali in una composizione estremamente materica e fluida che a stento si esprime entro i limiti della tela e fugge verso il retro del telaio, inaccessibile alla vista.
La particolarità sta nella natura postuma del quadro, il modus operandi dell’artista prevede, infatti, di intelaiare la tela solo una volta concluso il dipinto, questo fa sì che solo ad opera conclusa essa si configuri come ‘quadro’. I lavori si instaurano negli spazi della Fondazione come presenze che chiedono allo spettatore di avvicinarsi. In quest’occasione non è possibile relazionarsi fisicamente con le opere, ma non manca quell’interazione che contraddistingue gli interventi di questo artista. Molteplici sono gli stimoli che richiamano l’attenzione dello spettatore, non è solo l’occhio ad essere chiamato in causa, ma tutto il corpo, ogni angolazione genera una diversa visione e ogni variazione della luce che entra dalle finestre porta a spostarsi, a girare intorno all’opera per scoprirne le stratificazioni e dinamiche interne. Soggetto indiscusso è il comportamento, tanto dei materiali quanto dell’artista, le cui tele sono registrazione di una gestualità artigiana e di una consapevole conoscenza dei media espressivi.
La stessa definizione di quadro è costretta a riformularsi, quasi snaturarsi quando si entra nelle sale della Fondazione: l’idea di verticalità e la bidimensionalità vengono superate ripensando la pittura dalle sue fondamenta. Come afferma lo stesso Kvas, si tratta di ‘pretesti’, interventi che non ambiscono a rientrare in alcuna categoria che la pittura spesso impone. Termini come ‘figurativo’ e ‘astratto’ perdono il loro valore classificatorio e in questo caso non fanno altro che ostacolare la potenzialità espressiva della tela. L’idea di rappresentazione riscopre la propria inadeguatezza, lasciando il passo a una processualità complessa, che restituisce allo sguardo una dinamicità che vince e fa propria la staticità della parete.
Le tele, dotate di una nuova dimensione oggettuale, diventano installazioni pittoriche che trovano la loro ragion d’essere tanto al centro dello spazio espositivo quanto sulla parete. Superfici che si animano di stratificazioni, richiami e rimandi, frutto di un processo creativo corale, in cui l’artista porta avanti più lavori contemporaneamente, riconducendoli tutti in un unico immaginario.

Se in passato Kvas ha contaminato la pittura con la scultura, in questo caso il focus torna proprio sull’elemento cardine della tela, sempre però dotata di autonomia estetica. In questo nuovo progetto ciò che maggiormente emerge è la maturità espressiva di un artista che non solo decostruisce la pittura per poi rielaborarla, ma decostruisce anche la propria poetica senza chiudersi entro i limiti di quanto ha già realizzato. Una manifestazione di spensieratezza, variabilità e imprevedibilità di cui questa mostra è una dimostrazione esemplare.

Courtesy Fondazione Smart, Roma