Marco B. Fontichiari, Bitscape, 2020

Testo di Alice Pio

Nato originariamente come una performance live, in collaborazione con il musicista Federico Trimeri, il video presenta una manipolazione del software Google Earth. Il lavoro di Marco B. Fontichiari ci trasporta all’interno di una replica del nostro mondo, dichiaratamente finta e parzialmente danneggiata. Il video, che nella versione integrale dura circa 6 minuti, ripercorre una narrazione lineare, caratterizzata da un inizio, uno svolgimento ed una fine. Le renderizzazioni dei luoghi scelti dall’artista introducono, infatti, un intreccio narrativo, che ci suggerisce quella che è l’evoluzione scientifica dell’uomo.

Dalla genesi alla conquista dello spazio, i luoghi si saturano di un’atmosfera umana, però negli spazi aperti, nelle periferie e nelle città, non c’è vita. La vita sembra quasi immobilizzata, e la presenza di figure inanimate contribuisce a produrre una sensazione di disagio e di inquietudine. Tratte dal repertorio personale dell’artista, queste immagini mozzate, come le muse di De Chirico, creano un senso di mistero, sottolineando il distacco dalla realtà. Un mondo altro, fittizio, abitato da sole immagini deteriorate, che ci inducono a dubitare della materialità e della consistenza di ciò che vediamo. Fluttuano, dilatandosi e comprimendosi, queste figure sembrano in attesa di un’epifania, che però non avviene. Rimangono in ascolto, lasciandosi guidare nei movimenti dalla banda sonora composta da Federico Trimeri. Una serie di fonti sonore deteriorate che, uniformate dal riverbero, rimarcano nuovamente il distacco dalla realtà.

L’opera diventa, quindi, una testimonianza sotto forma di una realtà altra, quella digitale, che continua a parlarci senza, però, rivolgersi direttamente alla realtà. Attraverso questo procedimento, l’artista vuole quindi irrealizzare un universo fatto di dati digitali, per spostare l’attenzione alla consistenza del dato reale. Infatti, lo sviluppo tecnologico ci ha indotto a parlare di altro rispetto alla realtà, ci ha indotto a sostituire il dato reale con i dati digitali. La realtà virtuale diventa, quindi oggi, la risposta che la società moderna propone alla costante ricerca dell’uomo di mondi altri. Un’evasione un tempo rappresentata dall’esplorazione di nuovi pianeti e dalla conquista dello spazio, e ancor prima da un viaggio introspettivo all’interno della propria sfera mistico-spirituale.

Bitscape è un’opera perturbante che pone interrogativi senza però arrivare a soluzioni rassicuranti, ricordandoci la fragilità di un mondo a cui sempre più spesso ci rivolgiamo. Un mondo che ha perso la misura dell’umanità e che, a causa del suo rapido sviluppo che rende inutilizzabili i vecchi sistemi, rischia di diventare sempre più effimero, portando via con sé anche la nostra memoria. Ad ogni aggiornamento assistiamo, infatti, alla perdita di tutta una serie di produzioni, che spaziano dai fotoricordi dei momenti salienti della nostra vita, ad operazioni artistiche che vengono prodotte utilizzando queste tecnologie. Una obsolescenza programmata che ritroviamo anche nell’opera in mostra, dove viene proprio contestata la capacità del mezzo di conservare i dati a lungo termine. Nell’opera, infatti, i contenuti, sia audio che video, con l’intromissione del mondo digitale perdono consistenza, iniziano a deteriorarsi, a svanire, a perdersi nella memoria. La scelta dei curatori di presentare accanto alla versione ridotta, la versione integrale dell’opera, è sintomo di una coscienza profonda dell’importanza di riproporre la visione globale dell’artista, espressa attraverso una storia caratterizzata da un ritmo lento, da un forte stato di apprensione e dall’irruzione energica del disagio.